CONCLUSIONI
Il rapido capovolgimento dei rapporti tra Chiesa e Impero – la progressiva affermazione della religione cristiana sul paganesimo - è il fenomeno storico che fa da sfondo alla vita di Eusebio. La vita del vescovo di Vercelli, infatti, si inquadra, dal punto di vista storico-religioso, in questo complesso fenomeno della sostituzione del culto pagano.
Eusebio, primo vescovo dell'Italia settentrionale di cui si abbiano notizie certe, nasce in Sardegna all'inizio del IV secolo. A Roma, città in cui si trasferì con la sua famiglia, viene istituito lettore, entrando a far parte del clero dell'Urbe, in un tempo in cui la Chiesa era gravemente provata dall'eresia ariana. In questa città egli poté comprendere il profondo contenuto della dottrina trinitaria e intuire le sottigliezze degli argomenti teologici dell'Oriente. Infatti, la presenza di Atanasio a Roma fu per lui l'occasione di penetrare in profondità la dottrina trinitaria orientale. Eletto dal popolo e consacrato vescovo di Vercelli nel 345 da papa Giulio, inizia subito in questo territorio ancora in gran parte pagano un'intensa opera di evangelizzazione. Il suo arrivo nel Piemonte infuse coraggio alla moltitudine dei poveri e, ispirato dallo stesso Atanasio, fondò a Vercelli una comunità sacerdotale simile a una comunità monastica. Il clero dell'Italia settentrionale, la zona più vulnerabile alla penetrazione dell'arianesimo, ricevette da questo cenobio una significativa impronta di santità apostolica e figure importanti di vescovi furono suscitate da questa realtà comunitaria. Solidamente formato nella fede nicena, Eusebio difese con tutte le forze la piena divinità di Gesù Cristo e a tale scopo si alleò con i grandi Padri del IV secolo contro la politica filoariana dell'Imperatore. La difesa della verità contro la dominazione della politica costò a Eusebio e a tanti altri vescovi di Oriente e Occidente la condanna all'esilio. Fra il 355 e il 360 Eusebio fu esiliato a Scitopoli in Palestina. In questa località fondò un cenobio con un gruppetto di compagni e curò la corrispondenza con i suoi fedeli del Piemonte, scrivendo, così, una pagina stupenda della sua vita. In questo luogo di persecuzione Eusebio, rimeditando la storia biblica e cristiana, fortificava il suo spirito. A Scitopoli, in cui talvolta riceveva le visite di presbiteri e fedeli, distribuiva ai poveri del territorio i beni che gli amici gli offrivano e dispensava anche la parola di Dio secondo le verità della Chiesa, motivo per cui fu trasferito prima in Cappadocia e, infine, nel deserto egiziano della Tebaide; località, questa, in cui egli respirò il clima esaltante del monachesimo egiziano e dove subì anche gravi maltrattamenti fisici e psicologici. Le parole con cui egli comunica ai suoi carcerieri la decisione di fare lo sciopero della fame si trasfigurano fino a diventare una “professione di fede” ed una “evangelizzazione”. Benché, a causa della ferocia dei carcerieri, molti fedeli e perfino alcuni vescovi abbiano abbandonato la verità, Eusebio non si lascia spaventare dalle azioni degli Ariani e raccomanda a tutti la fedeltà alla verità. Inaspettatamente, egli sfugge parzialmente alla morsa della prigione ed infonde a molti fedeli l'antidoto della verità. La reazione dei custodi è scatenata dal fatto che Eusebio avvicina la gente ed evangelizza. Nel 361, in seguito alla morte di Costanzo II, viene proiettato sul trono imperiale Giuliano l'“Apostata”, il quale restituisce la libertà a tutti gli ecclesiastici esiliati dal suo predecessore, consentendo così ad Eusebio di riprendere possesso della sua sede. Nel 362 egli fu invitato da Atanasio a partecipare al Concilio di Alessandria, in cui Eusebio, unico vescovo d'Occidente presente, fu protagonista insieme allo stesso Atanasio. Egli, infatti, contribuì in maniera non secondaria alla celebrazione di questo concilio, come anche alla stesura del Tomus ad Antiochenos, il documento che informa sul suo svolgimento. Al “Concilio dei Confessori” Eusebio si rivelò uomo di tradizione e di dialogo. Egli rientrò in patria col proposito di potenziare la vita monastica nel clero e nel popolo: poté esercitare ancora per una decina di anni, fino alla morte, il ministero episcopale realizzando con la sua città un rapporto esemplare, che ispirò il servizio pastorale di altri vescovi dell'Italia settentrionale.
Due testimonianze mettono in particolare rilievo il rapporto di Eusebio con la sua città; la prima è contenuta nella seconda delle sue lettere, che Eusebio scrisse dall'esilio a Scitopoli, in cui le espressioni, traboccanti di affetto e amore, segnano la commozione del Buon Pastore di fronte al suo gregge. È da notare il rapporto esplicito che lega il Vescovo alla sancta plebs delle comunità che all'interno della stessa diocesi avevano raggiunto una certa consistenza e autonomia. Nel commiato che conclude la Lettera Eusebio chiede di salutare anche coloro che, al di fuori della Chiesa, ne riconoscevano in qualche modo l'autorità spirituale.
La seconda testimonianza proviene dalla Lettera che Ambrogio di Milano scrisse ai Vercellesi intorno al 394, periodo in cui quella Chiesa era divisa e senza pastore. Ambrogio attesta la sua stima nei confronti di Eusebio, che ammira soprattutto perché governa la diocesi con la testimonianza della sua vita. Egli, che aveva perseguito l'ideale monastico della contemplazione di Dio sulle orme del profeta Elia, fu il primo a raccogliere il proprio clero in una vita communis e lo educò all'osservanza delle regole monastiche pur vivendo nella città. Il Vescovo e il suo clero hanno condiviso i problemi dei concittadini in modo credibile, proprio coltivando al tempo stesso la cittadinanza del cielo, costruendo realmente una vera cittadinanza, una vera solidarietà tra i cittadini di Vercelli.
Così Eusebio, mentre faceva sua la causa della sancta plebs di Vercelli, viveva in mezzo alla città come un monaco, aprendo la città verso Dio. Questo tratto monastico conferiva una dimensione peculiare al rapporto del Vescovo con la sua città. Sulla scia di Eusebio, istituiranno più tardi la vita monastica per il clero anche Martino in Gallia e Agostino in Africa.
Nell'anno 364 Eusebio è presente a Milano, insieme a Ilario, per riconquistare la città e per sottrarre l'Italia e l'Occidente all'arianesimo. I due teologi, andati nella città per propagandare tra i fedeli la dottrina nicena, furono messi alla porta dall'imperatore Valentiniano.
Da Milano prese inizio e a Milano si esaurì la parabola dell'attività di Eusebio in difesa della fede nicena contro gli Ariani. Giocando un ruolo di assoluto rilievo nella crisi ariana, egli fu in grado di ripensare autonomamente e in profondità i dati dottrinali della controversia: la chiarezza della sua professione di fede fondò l'efficacia della sua azione politica.