CAP. 3: EUSEBIO AL CONCILIO DI ALESSANDRIA
3.1 Il contributo di Eusebio di Vercelli al Concilio di Alessandria (362)
Al concilio di Alessandria del 362 fu protagonista Eusebio insieme con Atanasio. Nonostante siano scarsi i dati biografici di Eusebio, quell’evento è uno dei meglio documentati ed appare come uno dei più significativi e decisivi della sua vita.
Eusebio vive in un’epoca della storia della Chiesa in cui il fenomeno conciliare conosce un’accelerazione senza precedenti, soprattutto a causa delle controversie connesse con l’arianesimo. Fra il 320 ed il 382 si contano circa 118 concili celebrati, contro una novantina dei due secoli e mezzo precedenti. Il concilio alessandrino del 362, passato alla storia come il “concilio dei confessori”, rappresentò anche l’inizio di una vera e propria svolta teologica ed ecclesiale. Cercheremo ora di analizzare meglio le dinamiche di questo concilio nel contesto delle controversie teologiche del sec. IV, con particolare riguardo ai contributi di Atanasio e di Eusebio di Vercelli alla questione trinitaria, alla cristologia, alla mariologia, e agli altri ambiti da lui toccati.
Il concilio di Alessandria del 362 venne a trovarsi all’inizio della discesa nella parabola storica dell’arianesimo[1]. La controversia tra Ario ed il suo vescovo Alessandro fu originariamente una polemica interna all’origenismo. Tuttavia, il problema investì presto la totalità del mondo cristiano orientale e, di riflesso, anche occidentale. Purtroppo, la formula di Nicea risultò come imposta dall’alto e con troppa fretta per riuscire a convincere tutti. Il dialogo e l’approfondimento teologici dovettero così farsi strada attraverso l’esplosione di contese e scismi, aggravati e incancreniti da interessi palesi e occulti non propriamente teologici. Dieci anni dopo Nicea, questo intrico si manifestò nei concili di Tiro e Gerusalemme.
La morte di Costantino (22 maggio del 337) e le vicende tragiche della sua successione complicarono ulteriormente le cose anche in campo religioso. Il caso di Atanasio e di altri vescovi contestati dai filoariani guidati da Eusebio di Nicomedia venne affrontato al concilio di Roma del 341 e la decisione fu a favore di Atanasio. La risposta arrivò dal “Sinodo della dedicazione” tenuto ad Antiochia e accompagnato da quattro simboli di fede che non contenevano l’homousion, ma che non erano neppure ariani. È l’inizio di tutta una serie di simboli che si succederanno nei decenni seguenti, basati su un complesso di equivoci e di travisamenti delle posizioni altrui. L’aspetto più importante era la mancanza di vera comunicazione fra le parti. La prima occasione di incontrarsi sarebbe potuto essere il concilio di Roma del 341 sollecitato dagli avversari di Atanasio e da loro poi disertato. L’altra opportunità sarebbe potuta essere Serdica nel 343, e invece si ebbe la prima formale rottura fra le Chiese di Oriente e Occidente. I concili e i simboli di fede dal 343 al 356 manifestarono soltanto tendenze opposte e timori reciproci.
In questa atmosfera l’homousios niceno risultò quasi totalmente dimenticato. A questo punto emersero anche le incertezze e i contrasti interni del fronte formatosi contro quel medesimo homousios niceno e si manifestarono formalmente i “partiti dell’arianesimo”: “anomei”, “omei”, “omeisti” e “omeousiani”. Gli occidentali presero l’iniziativa di riflettere nuovamente sull’ homousios niceno: dapprima papa Liberio nel 354, con una lettera all’imperatore Costanzo, poi Eusebio di Vercelli nel 355 nel concilio radunato a Milano, che però si concluse con l’esilio per sé, per Lucifero di Cagliari e Dionigi di Milano. Nel concilio degli occidentali a Rimini e in quello degli orientali a Seleucia, tenutisi entrambi nel 360, la formula omea poté essere imposta da Costanzo II; per reazione, la formula nicena riprese forza e attualità.
Trentacinque anni di controversie avevano ormai dimostrato che l’ homousios restava un punto di riferimento inevitabile e tanto più cresceva quanto più lo si negava. La politica religiosa di Costanzo II fu perciò un fallimento. Altrettanto quella filopagana dell’imperatore Giuliano. I primi ad approfittare della nuova situazione, muovendosi nel senso anzidetto, furono i cristiani della Gallia. Nel corso dei mesi successivi si celebrarono vari concili che ribadirono la validità dell’ homousios niceno e assunsero un atteggiamento di intransigenza nei confronti dei capi ariani, favorendo peraltro una miglior comprensione dei termini del problema dottrinale. Omousiani e omeousiani cominciarono a cercarsi e a dialogare. In questa nuova atmosfera operò anche il concilio di Alessandria del 362.
NOTE:
[1] Cfr. Simonetti, La crisi ariana cit., 359-370.