CAP. 2: EUSEBIO, VESCOVO, CONFESSORE, MONACO
2.1 Impegno pastorale e aspetto testimoniale
Girolamo descrive nel 393 la vita di 132 “uomini illustri” del cristianesimo, tra i quali figurano Eusebio di Vercelli e Lucifero di Cagliari.
Eusebio di Vercelli balza agli onori della storia nell’anno 345. Riguardo alla sua vita e alla sua attività pastorale prima dell’episcopato, sappiamo che era nato in Sardegna e a Roma era stato ordinato “lettore” nella Chiesa. Si immagina la sua nascita tra la fine del III e l’inizio del IV secolo. Eusebio doveva essere giovanissimo quando la sua famiglia lasciò la Sardegna. Ambrogio, in una lettera del 396, dice di lui che alla tranquillità della sua casa preferiva le peregrinazioni[1]. La sua terra d’origine aveva accolto l’annunzio del Vangelo dalla voce e dalla testimonianza degli esuli, dei mercanti, dei soldati, dei presbiteri e dei martiri. Lo schiavo Callisto, esule in Sardegna, liberato attorno all’anno 190 per l’amnistia dell’imperatore Commodo, fu vescovo di Roma dal 217 al 222. Della morte di Papa Ponziano nel 235 durante l’esilio nell’Isola dà notizia il “Catalogo Liberiano” redatto a Roma nel 354, mentre Eusebio era vescovo di Vercelli. Eusebio avrà sentito parlare dei martiri sardi del suo tempo, morti sotto la tremenda persecuzione di Diocleziano, che intendeva salvare l’Impero con una ferrea organizzazione politica e per questo esigeva dai cristiani l’assenso religioso agli dei di Roma. Con la tetrarchia la città di Sirmio diveniva il cuore del nuovo impero. Gli editti di Diocleziano degli anni 303-304 intendevano radere al suolo le chiese cristiane. Le stragi furono innumerevoli. Diocleziano, dopo aver chiamato Costantino a Sirmio, si ritirò nel 305, aprendo il periodo delle lotte fra i vari capi imperiali. La contesa si concluse con la vittoria di Costantino, il quale nel 313 confermò l’editto di tolleranza di Galerio donando la pace religiosa ai cristiani. In quel momento era vescovo di Roma Melchiade.
Forse giunse in quegli anni Eusebio, o poco più tardi, quando era papa il romano Silvestro. L’imperatore Costantino metteva a disposizione del papa il palazzo dei Laterani e iniziava l’edificazione della basilica di San Giovanni. Eusebio, entrato nell’ambiente ecclesiale, si dedicò al servizio ministeriale nella comunità. La missione di “lettore” era di grande importanza nella Chiesa di quel tempo e preludeva spesso al sacerdozio[2].
Il primo agosto del 314 Quintasio vescovo di Cagliari e il suo presbitero Ammonio partecipavano al concilio di Arles[3]. A Cesarea di Palestina era intanto divenuto vescovo Eusebio, il quale considerava una provvidenziale grazia la libertà religiosa, che più tardi invece Eusebio di Vercelli avrebbe pagato con la persecuzione da parte del figlio di Costantino.
Il IV secolo ben presto avrebbe visto il riaccendersi delle roventi controversie dottrinali, le quali seminarono dolorose divisioni e risvegliarono nuove persecuzioni. Il prete libico Ario si poneva alla testa nella Chiesa di Alessandria del movimento dottrinale che conduceva a negare la divinità di Gesù[4]. Il suo vescovo Alessandro convocò Ario ad un sinodo attorno al 320 ad Alessandria e lo condannò. Eusebio di Cesarea accolse Ario nella sua diocesi, favorendo così la diffusione delle controversie teologiche. Nel maggio del 325 Costantino chiamò tutti i vescovi al concilio di Nicea[5]. La “formula di fede” proposta dal concilio si incentrava sull’affermazione che il Figlio è “consustanziale al Padre”; essa fu sottoscritta a malincuore da molti vescovi e divenne la pietra d’inciampo.
Il dopo-Nicea fu la liquidazione dell’accordo teologico stabilito in quel concilio. L’arianesimo ebbe il suo trionfo in Oriente e penetrò poi in Occidente. L’atmosfera “teologica” andava profondamente trasformandosi. Nel secolo del riconoscimento statale del cristianesimo il pensiero dei cristiani confluì in un’eresia unica e totalizzante. Si trattava della divinità di Gesù Cristo nella unità e trinità di Dio e, dopo quello che fu il primo concilio ecumenico, anche della fedeltà alla verità proclamata dal collegio episcopale e confermata dal vescovo di Roma. La libertà di riflessione teologica non era più la stessa dei tre secoli precedenti, in quanto il “dogma” doveva essere prima accolto per poter essere ulteriormente approfondito. L’unità tra le Chiese, fondamentale per la testimonianza missionaria, doveva essere basata sulla verità. Nel tempo della libertà religiosa rimaneva importante credere che “Cristo è Dio” per andare incontro all’impegno della vita cristiana. Questo era l’intendimento dei Padri. Era necessaria l’unità nella fede.
Eusebio a Roma ebbe la possibilità di comprendere il profondo contenuto della dottrina trinitaria e anche di intuire le sottigliezze degli argomenti teologici dell’Oriente. Lo preoccupava la progressiva “arianizzazione” delle Chiese orientali, che rischiava di estendersi a quelle occidentali. Nel 335, infatti, un concilio riunito a Tiro aveva deposto Atanasio, vescovo di Alessandria. Costantino dava ormai man forte ai vescovi ariani, nello stesso tempo in cui moriva papa Silvestro. Nel 335 moriva anche Ario. Il 7 febbraio del 337 veniva eletto papa Giulio e il 22 Maggio dello stesso anno morì a Nicomedia lo stesso Costantino. I suoi eredi furono i figli Costantino jr., Costanzo II e Costante. Costantino aveva sostenuto di fatto gli Ariani e aveva trasmesso ai propri figli la convinzione che l’azione politica dovesse appoggiarsi preferibilmente sulla fazione filoariana. Nel 339 il vescovo di Roma Giulio aveva dovuto accogliere nella capitale Atanasio, espulso ancora dalla diocesi di Alessandria. La sua presenza a Roma fu per Eusebio la provvidenziale occasione di penetrare nelle profondità della dottrina trinitaria dell’Oriente. Nel 342, morto Eusebio di Nicomedia vescovo di Costantinopoli, qualche sprazzo di riconciliazione sembrò riaprire le porte al dialogo, quando Costante e Costanzo proposero un nuovo Concilio a Serdica nel 343-344, dei cui atti riportiamo un brano significativo:
Il vescovo Ossio disse: Anche questo <è> necessario che venga aggiunto: che nessuno dei vescovi passi dalla sua provincia in un'altra provincia in cui già ci sono vescovi; eccetto forse che non sia stato chiamato dai suoi fratelli, perché non sembri che chiudiamo la porta alla carità.
Egualmente <è> da prevedere anche questo: che se in una provincia un qualche vescovo ha una pratica contro un suo fratello episcopo, nessuno dei due convochi come arbitri vescovi da un'altra provincia.
Se poi però risulterà che uno dei vescovi in una pratica sia stato condannato ed è convinto di avere una pratica non debole, ma buona, cosicché il giudizio possa venire ancora rinnovato, se sembra bene alla vostra carità, onoriamo la memoria dell'apostolo Pietro, e si scriva da coloro che hanno giudicato [a Giulio], il vescovo di Roma, così che da parte dei vescovi confinanti con quella provincia, se necessario, venga fatto un nuovo giudizio ed egli presenti gli arbitri. Se però non può venire dimostrato che la sua questione è tale da abbisognare una revisione, quanto antecedentemente giudicato non venga abolito, ma rimanga stabilito.
Il vescovo Gaudenzio disse: Se sembra bene, <è> necessario che a questa dichiarazione, che hai espresso piena di manifesta carità, venga aggiunto che se un vescovo, <che> al giudizio di questi vescovi venisse deposto, dicesse che gli spetta ancora un procedimento di difesa, non venga messo sulla cattedra un altro, se <prima>, avendo deciso di questo, il vescovo della <chiesa> dei romani non abbia presentato una norma.
Il vescovo Osio disse: Piacque che se un vescovo è stato accusato e i vescovi della medesima regione radunati lo rimuoveranno dal <suo> grado, e come deposto si rifugierà presso il beatissimo vescovo della chiesa dei Romani e <questi> voglia sapere di lui e pensi essere giusto che venga rinnovato l'esame della sua pratica si degni di scrivere a quei vescovi che sono confinanti con quella provincia, affinché essi con cura e diligenza indaghino ogni cosa e secondo la credibilità della verità presentino una sentenza circa la pratica. Se invece qualcuno ritiene opportuno che la sua faccenda venga anche riascoltata e con la sua richiesta giudicasse bene muovere il vescovo dei Romani a mandare dal suo lato dei presbiteri, è in potere dello stesso vescovo <dei Romani> che cosa ritenga che sia bene e <se> stabilisse che debbono essere mandati alcuni che giudichino insieme ai vescovi e che abbiano l'autorità di colui dal quale sono stati mandati, anche questo <sia> da accogliere. Se invece reputa di iniziare dalla conoscenza <già presente> della pratica e dalla sentenza sul vescovo, faccia quanto giudica che sia bene nella sua assennatissima deliberazione. I vescovi risposero: Piacque ciò che è stato esposto[6].
Papa Giulio inviò i preti Archidamo e Filosseno ed il diacono Leone come suoi legati, e da Treviri vi andò, con Atanasio, Osio di Cordova. La riconciliazione fallì e il credo niceno fu definitivamente abbandonato dai vescovi orientali. Anche l’incontro tenuto a Milano nel 345 ebbe un esito negativo. Era penetrato in Occidente il germe dell’Arianesimo. La zona più vulnerabile era l’Italia Settentrionale, confinante con la regione balcanica impregnata del pensiero ariano orientale. Aquileia era, insieme a Verona e Brescia, una delle poche diocesi oltre all’antica diocesi di Milano. Nel Piemonte nessuna comunità era stata ancora costituita in diocesi. Papa Giulio prospettò la necessità di costituire una nuova diocesi per l’evangelizzazione del Nord. Fu scelta come sede Vercelli.
Nel 49 a.C. Vercellae aveva ottenuto la cittadinanza romana da Giulio Cesare. La città era in una posizione strategica per la confluenza di importanti strade. Il culto di Apollo stava cedendo il posto al culto di Cristo. Costantino vi aveva fatto costruire una chiesa dedicata a Maria e la tomba del martire vercellese Teonesto era divenuta un santuario[7]. Papa Giulio inviò a Vercelli una delegazione della quale faceva parte anche Eusebio. La tradizione delle comunità cristiane vedeva nell’acclamazione del vescovo da parte del popolo la volontà divina. Eusebio fu eletto a prima vista dal popolo e la sua consacrazione episcopale avvenne a Roma per le mani di papa Giulio.
È risaputo da diverse fonti quanto grande fosse nel IV secolo l’impegno dei cristiani nell’affrontare con la forza del Vangelo i problemi dell’Italia e del mondo. Ai problemi sociali dell’Italia di 1660 anni fa si aggiungevano la rivalsa delle etnie, l’egoismo dei ricchi possidenti, il risorgere della magia e dell’astrologia, l’esuberanza conviviale durante le feste, il tifo smodato negli stadi, le strane acconciature dei capelli, gli orecchini agli orecchi dei maschi oltre che delle donne. L’arrivo del vescovo nel Piemonte infuse coraggio alla moltitudine dei poveri. La lettera che Eusebio invierà alla comunità di Vercelli dal suo esilio in Palestina offre un quadro della vita di quella Chiesa. Da Ambrogio sappiamo che Eusebio fu un “santo confessore”[8]. Maestro della Parola di Dio, cercava di penetrarne il profondo significato spirituale traducendo in latino il Commento ai Salmi di Eusebio di Cesarea, e adoperando il Salterio come preghiera comunitaria nei primi esperimenti di vita cenobitica con i suoi presbiteri[9]. La passione di Eusebio per i Salmi fa capire il suo progetto di fondare in Occidente la grande esperienza di vita comunitaria[10].
Dal 345 al 355, mentre Eusebio evangelizzava il Piemonte, stava per avvenire una nuova svolta nella storia della Chiesa e dell’Impero. Nel gennaio del 350 un golpe ordito da Magnenzio destituì a Lione l’imperatore Costante, che fu ucciso in battaglia presso i Pirenei. Costanzo II, appresa la notizia in Oriente, risalì il Danubio fino alla confluenza della Sava a Sirmio. Lo scontro avvenne nel settembre del 351 attorno alla città di Mursa, al confluire della Drava col Danubio. Magnenzio fu sconfitto[11]. Costanzo lo inseguì ad Aquileia e a Lione, dove Magnenzio si uccise il 10 agosto 353. Costanzo rimaneva così unico signore dell’impero. Rifondata l’unità politica dello Stato si dedica a rinvigorire l’unità della Chiesa. A papa Giulio il 12 Aprile del 352 era succeduto Liberio, che era stato a Roma “lettore” e poi “diacono”. Liberio conosceva bene la situazione ecclesiale dell’Italia e la situazione politica dell’Impero. L’imperatore Costanzo era convinto della necessità di eliminare Atanasio. Liberio, che considerava una roccia per la fede il Credo di Nicea e vedeva in Atanasio il suo più strenuo difensore, inviò i vescovi della Campania Marcello e Vincenzo dall’imperatore, il quale si tratteneva ad Arles, per chiedere la convocazione di un concilio ad Aquileia. Costanzo convoca il concilio ad Arles, onde poterlo pilotare personalmente attraverso Saturnino, vescovo di quella città. Il decreto di condanna di Atanasio fu sottoscritto dalla maggioranza dei vescovi della Gallia. Con un sotterfugio fu carpita la firma anche ai legati pontifici. Costanzo riuscì a far condannare ed esiliare Atanasio. Riguardo alla “professione di fede”, l’imperatore ritenne di convogliare tutti i vescovi verso una “formula” talmente generica che potesse essere da tutti sottoscritta. Papa Liberio scrisse a Costanzo per chiedere la convocazione di un nuovo Concilio in una città raggiungibile da un maggior numero di vescovi. Inviò alla corte di Milano lo stesso Lucifero, con Pancrazio e Ilario, e pensò di affiancare a lui Eusebio di Vercelli.
Il Concilio fu convocato dall’imperatore a Milano. Dal suo svolgimento emerge l’importanza decisiva che la presenza di Eusebio significava agli occhi dei sostenitori di Atanasio, dei loro avversari e dell’imperatore. Questo grande prestigio era legato alla sua persona. Egli era stato lettore nella chiesa di Roma, dove ebbe modo di informarsi adeguatamente sui temi dottrinali e politici che erano oggetto della controversia. È ipotizzabile che qui Eusebio avesse acquisito tanta competenza sull’argomento da presentarsi come uno dei pochissimi in grado di orientarsi con sicurezza in un contenzioso di non facile approccio; e come tale era conosciuto a Roma e altrove. Eusebio pensò di prendere tempo prima di presentarsi al concilio a Milano.
I lavori del concilio prendevano l’avvio con un’attiva propaganda da parte dei vescovi favorevoli all’Arianesimo, i quali forzarono i vescovi occidentali a sottoscrivere la condanna di Atanasio. I filoariani scrissero a Eusebio invitandolo ad unirsi alla condanna di Atanasio. L’ambasciata non riuscì a smuovere il vescovo di Vercelli, tanto che l’imperatore gli inviò una sua lettera personale. Eusebio annunziò il suo imminente intervento a Milano. La notizia mise in agitazione i vescovi filoariani, tanto che l’imperatore dovette assecondarli. Dieci giorni dopo, Eusebio venne accolto nell’assemblea conciliare e fu invitato a sottoscrivere la condanna di Atanasio. Egli manifestò ai padri conciliari la necessità di accertare previamente l’ortodossia dottrinale di tutti i presenti e domandò loro di proclamare la “professione di fede” del concilio di Nicea. Nacque un tumulto per le intimidazioni del vescovo Valente. Il concilio fu interrotto e proseguì nel palazzo imperiale. Rimasero solo tre vescovi a difesa dell’ortodossia: Dionigi di Milano, Lucifero di Cagliari ed Eusebio di Vercelli, che dovettero prendere la via dell’esilio.
La professione di fede sottoscritta a Nicea nel 325 era stata messa da parte, proprio perché imposta con fermezza da Costantino, da quei padri conciliari che non l’avevano digerita e da altri che, pur avendola difesa, preferivano vivere in pace. Il vescovo di Roma, sotto l’impulso di Atanasio, aveva contribuito a rilanciarla come base dell’approfondimento della teologia trinitaria. Eusebio la ripropone nella fase più acuta della controversia. La sua presa di posizione infondeva coraggio a Lucifero e a Dionigi, scatenando la reazione degli Ariani. Costanzo non esita a spedire in esilio i tre vescovi dissenzienti. Qualche tempo dopo fu mandato in esilio anche papa Liberio. L’acquiescenza della maggioranza dei vescovi al volere dell’imperatore contribuiva a introdurre la dottrina eterodossa in Occidente. Eusebio fu esiliato a Scitopoli in Palestina, Lucifero a Germanica in Siria e Dionigi in Armenia. Il fatto nuovo era la separazione degli esiliati.
La città di Scitopoli accolse Eusebio nella casa-prigione preparata per lui dal vescovo Patrofilo, presente a Nicea e poi passato agli Ariani.
Scitopoli affonda le sue origini nella storia più antica. Per la sua posizione strategica sulla “via del mare”, la città fu conquistata dal faraone Tutmosi III nel 1489 a.C. e dopo qualche anno riconquistata dai Cananei. Durante l’epoca ellenistica la città assunse il nome di Scitopoli. Cadde poi sotto i Seleucidi di Tolomeo e durante la rivolta dei Maccabei fu occupata da Giovanni Ircano; tornò agli Ebrei nel 107 a.C., finché fu conquistata da Pompeo nel 63 ed entrò nella federazione della Decapoli.
Il cristianesimo giunse presto a Scitopoli. Al tempo del Concilio di Nicea era divenuta “diocesi” e il suo vescovo era Patrofilo. Non lontana era Cesarea, dove Origene aveva lasciato la sua grande biblioteca. Eusebio ora rimeditava la storia biblica e cristiana in quel luogo di persecuzione e così fortificava il suo spirito. A Scitopoli riceveva talvolta le visite dei suoi presbiteri e dei fedeli di Vercelli. Ai poveri del territorio distribuiva i beni che gli offrivano gli amici e dispensava anche la parola di Dio secondo le verità della Chiesa, motivo per cui fu trasferito prima in Cappadocia e infine nel deserto egiziano della Tebaide. Laggiù si ritrovò vicino a Lucifero di Cagliari.
NOTE:
[1] Ambrogio, Epist. ex. coll. 14, 68.
[2] Cfr. T. Bosco, Eusebio di Vercelli nel suo tempo pagano e cristiano, Torino 1995, 32-35.
[3] Cfr. O. Alberti, La Sardegna nella storia dei Concili, Roma 1964, 3-7.
[4] Per ulteriori approfondimenti sull'Arianesimo si veda M. Simonetti, La crisi ariana nel IV secolo, Roma 1975.
[5] Cfr. P. Meloni, Laici e impegno nella società alle origini del cristianesimo, in Laici nella Chiesa e nella società, Roma 1987, 118-127.
[6] H. Denzinger, Enchiridion Symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum, a cura di P. Hünermann, Bologna 2001, cann. 133-135.
[7] Notizie riguardo al culto dei martiri sono pubblicate in Eusebio di Vercelli e il suo tempo, Atti del Convegno Internazionale, a cura di E. dal Covolo - R. Uglione - G. M. Vian, Roma 1997, 257-321.
[8] Ambrogio, Epist. ex. coll. 14, 66 e 71.
[9] Per avere un'idea dell'opera di Eusebio di Vercelli si veda Origene, Omelie sui Salmi, a cura di E. Prinzivalli, Firenze 1991.
[10] Cfr. M. Capellino, S. Eusebio di Vercelli, Vercelli 1996.
[11] Cfr. Simonetti, La crisi ariana cit., 212 ss.