CAP. 1: IL SECOLO DI EUSEBIO
1.1 Inquadramento storico-religioso della vita del vescovo di Vercelli
Il fenomeno storico che fa da sfondo alla vita di Eusebio è il rapido capovolgimento dei rapporti tra Chiesa e Impero: progressiva affermazione della religione cristiana sul paganesimo, che costituisce la tendenza storica dominante del IV secolo e dalla quale si stacca la politica anticristiana dell’imperatore Giuliano (361-363), rappresentante la reazione pagana insinuantesi nel IV secolo[1].
In generale, la politica imperiale sembra orientata alla pacifica accettazione del cristianesimo nella compagine dell’Impero - ci si riferisce al filocristianesimo dei Severi (193-235) -, nonostante la situazione dei rapporti tra Chiesa e Impero appaia nel suo insieme mutevole: alternanza di lunghi periodi di tolleranza con episodi di persecuzione di differente gravità[2].
Tra la fine del II secolo e i primi decenni del III le istituzioni ecclesiastiche si affermano progressivamente in un Impero ufficialmente persecutore e l’adesione degli ambienti di corte e delle famiglie senatorie al cristianesimo prefigura il definitivo atto di conquista dell’Impero da parte della Chiesa. Sono da registrare, nel medesimo contesto, alcuni casi singolari di collaborazione tra la familia principis e cristiani ben conosciuti a Roma (si consideri, fra tutti, quello del poligrafo Giulio Africano)[3].
Intorno alla metà del III secolo, al lungo periodo di pace e ai molteplici episodi di dialogo tra Chiesa e Impero[4] pone termine in modo brusco la persecuzione di Decio, che insieme alle successive persecuzioni per editto, quella di Valeriano del 257 e di Diocleziano del 303, rinvia di qualche decennio la soluzione del conflitto fra le due istituzioni.
Lattanzio ed Eusebio di Cesarea sono le due fonti che conservano l’editto promulgato a Nicomedia da Diocleziano il 24 Febbraio del 303 e che prevedeva, secondo Lattanzio, la privazione ai cristiani di tutti gli onori e le dignità, che questi fossero passibili di supplizio, a qualunque ordine e grado appartenessero, e che non potessero ricorrere in giudizio in caso di azione legale intentata contro di loro[5]. Secondo Eusebio di Cesarea, era previsto nello stesso editto che le chiese e le Scritture fossero distrutte, che i cristiani perdessero ogni dignità, che a servitori e liberti cristiani rimasti fedeli alla loro religione fosse tolta la libertà. Si aggiunsero, poco tempo dopo, altri due decreti di persecuzione che ordinavano di imprigionare in ogni luogo i capi delle chiese e di costringerli con tutti i mezzi a sacrificare. Questi, a loro volta, furono seguiti da un altro editto che prevedeva la libertà per chi avesse sacrificato e il tormento dei supplizi per chi avesse resistito[6]. La maggior parte della critica crede che Eusebio si riferisca a quattro editti di persecuzione, promulgati dall’imperatore in pochi mesi, uno dopo l’altro. In ogni caso, la politica religiosa di Diocleziano corrispondeva esattamente alla sua concezione della tetrarchia, secondo cui dalla teocrazia tetrarchica dipendeva la concordia imperatorum che, a sua volta, garantiva la concordia militum e la coesione dell’Impero.
La teologia imperiale inaspriva, così, la tendenza ad una radicalità crescente nel campo della politica religiosa. Successivamente alla rinuncia al trono da parte di Diocleziano, che avvenne il 1 maggio del 305, la persecuzione diminuisce di intensità e il 30 aprile del 311 l’imperatore Galerio pubblica l’editto di indulgentia verso i cristiani, il cui testo, sempre conservato dalle due fonti precedentemente citate, contiene gli elementi del contrasto tra cristianesimo e Roma e la giustificazione del nuovo atteggiamento dell’Impero verso la Chiesa. Innanzitutto, Galerio riprende i grandi temi della politica di Roma verso i cristiani, oltre a quelli dell’ideologia tetrarchica[7]. Inoltre, la sostanziale responsabilità di Galerio nella politica di Diocleziano sembra essere dimostrata dalla ricostruzione dei fatti basata sull’editto, che legittima il cambio di una linea politica fallimentare.
La “chiave di volta” di questo sviluppo è costituita da una nuova considerazione del deus Christianorum, secondo la quale egli ha un posto di rilievo nella visione espressa dall’editto: attraverso le preghiere dei cristiani, gli viene affidata la salvezza degli imperatori e della stessa res publica. La persistenza dell’ideologia religiosa imperiale è rivelata da numerosi indizi e si accompagna, nel caso specifico del nostro editto, ad una scelta terminologica che denuncia il programma galeriano. Insieme alla percezione, da parte di Galerio e degli altri imperatori, della necessità di ricomporre i sentimenti tra i cittadini di una ormai fragile società, si inizia ad avvertire la possibilità che il cristianesimo diventi, esauriti i poteri del vecchio politeismo, l’anima e lo strumento di una riforma civile. È un elemento di notevole rilievo il fatto che lo stesso politeismo abbia assunto un peso e un significato del tutto diverso nel nuovo quadro.
L’editto, oltre ad essere sintomo di una situazione gravida di novità impreviste, costituisce un punto di passaggio verso le litterae di Costantino e Licinio del 313. La presunta conversione di Costantino del 312 e il cosiddetto editto di Milano del 313 segnano la vera svolta nei rapporti tra la Chiesa e l’Impero; a un tratto, all’inizio del IV secolo, la Chiesa acquista completa libertà, fino a godere privilegi sempre più ampi. Il nome dell’imperatore Costantino è legato in modo indiscutibile a questa rivoluzione: eliminato Licinio, l’imperatore diventava l’unico Augusto. Si realizzava, così, sulla terra l’unità assoluta di governo, la monarchía dell’oikouméne, che nel terzo secolo aveva assunto un'importanza, anche ideologica, preminente.
Il quarto secolo dava realtà concreta alla parola monarchía: Massenzio e Costantino avevano il titolo di totius orbis imperator. Nel 324, sconfitto Licinio, Costantino ha attuato la politica universale e nel 325, al concilio di Nicea da lui convocato, ha partecipato alla definizione del concetto cattolico di monarchía divina nel quadro del dogma trinitario[8]. Costantino favorì in tutti i modi l’episcopato ed intervenne attivamente nelle dispute teologiche che laceravano la comunità cristiana, segnatamente nella controversia ariana e nella crisi donatista. La sua politica religiosa appare per lo più ispirata alla ricerca di formule conciliative e dà contenuto alla formula di epíscopos tôn ektós o a quella di koinòs epíscopos, che definiscono in modo emblematico il compito di supremo moderatore della religio cristiana assunto dall’imperatore nell’interesse dell’impero, nel senso di porre sotto tutela di una sola religio tutto l’orbe romano. Costantino ha compiuto le sue scelte religiose nella prospettiva in cui l’Augusto era riconosciuto il mediatore tra il divino e l’umano[9]. In realtà, prevale sempre nella sua politica religiosa l’intento di imporre concordia e unità, a costo di conciliare istanze fra loro contrastanti.
Mentre Costantino, in linea di principio, si sforzò di garantire la coesistenza del culto pagano con quello cristiano, la legislazione imperiale fu, invece, irrigidita dai suoi successori, fino all’abolizione del culto degli dei[10]. L’imperatore Giuliano, detto l’Apostata, si fece paladino della reazione pagana che serpeggiava negli ambienti culturali del IV secolo. Tra il 361 e il 363 egli impostò una rigida politica di restaurazione del paganesimo. Il suo provvedimento anticristiano più famoso mirava a togliere l’insegnamento ai professori cristiani[11]. Si noti che, benché si debba riconoscere un progressivo irrigidimento della politica religiosa imperiale, in stretto rapporto con la reazione pagana del IV secolo, il caso di Giuliano resta, tuttavia, un caso isolato.
L’imperatore Teodosio pubblica a Tessalonica l’editto Cunctos populos, con il quale prescrive a tutti i sudditi dell’Impero la religione cristiana. In realtà l’editto di Tessalonica e i provvedimenti immediatamente successivi riprendono la politica antipagana di Costanzo e obbediscono alla logica che la repressione religiosa ha sempre assunto nella tradizione romana, durante l’Impero cristiano e, soprattutto, durante l’Impero pagano e la Repubblica: il culto da reprimere è assimilato al sacrilegio, all’empietà, alla magia o all’ateismo. La repressione, dunque, si proclama diretta contro una perversione della religione, contro una profanazione colpevole e pericolosa per la res publica[12].
La politica religiosa dell’Impero ha sempre inteso garantire la protezione della divinità per la propria salvezza, presentando ad essa la sottomissione di un culto senza impedimenti. Gli interventi legislativi da Galerio a Teodosio si trovano paradossalmente sulla linea della tradizione romana, una volta decisa, dopo Galerio, l’inopportunità della persecuzione contro i cristiani. Poiché occorreva sostituire il culto pagano con il culto cristiano, lasciando intatto il sistema del raccordo tra politica e religione, unica garanzia di sopravvivenza per l’Impero, il cristianesimo diviene la religione ufficiale di Roma.
Oltre alle evidenti ambiguità del processo di sostituzione e la pesante ingerenza dell’imperatore nelle vicende della Chiesa, bisogna considerare anche le enormi possibilità che venivano aperte alle comunità cristiane. In ogni caso non si deve pensare all’editto di Teodosio come a un rivolgimento improvviso[13]. La vita del vescovo di Vercelli si inquadra, dal punto di vista storico-religioso, in questo complesso fenomeno della sostituzione del culto pagano[14].
NOTE:
[1] Riguardo ai fondamenti del potere dell'Imperatore sulla Chiesa si veda R. Farina, L'impero e l'imperatore cristiano in Eusebio di Cesarea. La prima teologia politica del Cristianesimo, Zürich 1996, 237-239.
[2] Cfr M. Sordi, I cristiani e l'impero romano, Milano 1991, 105-110.
[3] Cfr E. dal Covolo, I Severi e il cristianesimo. Ricerche sull'ambiente storico-istituzionale delle origini cristiane tra il secondo e il terzo secolo, Roma 1989, 74-75.
[4] Cfr Id., Chiesa Società Politica. Aree di «laicità» nel cristianesimo delle origini, Roma 1994, 123-127.
[5] Cfr. Lattanzio, La morte dei persecutori, a cura di G. Mazzoni, Siena 1930, 16-21.
[6] Cfr. Eusebio, Storia Ecclesiastica, introduzione a cura di F. Migliore, Roma 2001, 150-157.
[7] Cfr. G. Jossa, I cristiani e l'impero romano da Tiberio a Marco Aurelio, Napoli 1991, 229 ss.
[8] Cfr. S. Mazzarino, L'impero romano, III, Roma-Bari 1973, 658-659.
[9] Cfr. G. Bonamente, La «svolta costantiniana», in E. dal Covolo – R. Uglione (edd.), Cristianesimo e istituzioni politiche, Roma 1995, 102.
[10] P.F. Beatrice, L'intolleranza cristiana nei confronti dei pagani, Bologna 1993, 7-13.
[11] Cfr. E. dal Covolo, La paideia anticristiana dell'imperatore Giuliano. A proposito dell'editto del 17 giugno 362, in Crescita dell'uomo nellacatechesi dei Padri, Roma 1988, 73-85.
[12] M. Sordi, L'atteggiamento di Ambrogio di fronte a Roma e al paganesimo, in Ambrosius Episcopus. Atti del Congresso internazionale di studi ambrosiani, Milano 1976, 203 ss.
[13]Cfr. E. Crovella, La chiesa Eusebiana: dalle origini alla fine del secolo VIII, Vercelli 1968.
[14] Cfr. E. dal Covolo, Il “capovolgimento” dei rapporti tra la Chiesa e l’Impero nel secolo di Eusebio di Vercelli, in La Sardegna paleocristiana tra Eusebio e Gregorio Magno, Atti del Convegno Nazionale di Studi, a cura di A. Mastino - G. Sotgiu - N. Spaccapelo, Cagliari 1999 137-152.