CAP. 2: EUSEBIO, VESCOVO, CONFESSORE, MONACO
2.2 Dimensione monastica
Nella Tebaide respirò il clima esaltante del monachesimo egiziano. Dall’esilio riuscì ad inviare una lettera in cui manifesta tutta la sua umanità e la sua paternità. La sua preoccupazione era che i suoi fratelli perdessero la fede lasciandosi trascinare al credo degli Ariani. Fu grande il suo conforto nel sapere che tutti erano rimasti fedeli. La violenza fisica e psicologica che Eusebio subì si evince dalle tante lettere che i messaggeri avevano recato con sé. Eusebio decise, allora, di fare lo sciopero della fame e lo comunicò per lettera al suo vescovo carceriere. Le parole con le quali Eusebio comunica ai suoi carcerieri la decisione di astenersi dal cibo fino a lasciarsi morire si trasfigurano fino a divenire una “professione di fede” ed una “evangelizzazione”. Eusebio al quarto giorno fu ricondotto con gli altri esiliati alla prima dimora. Ma poiché il favore del popolo cresceva, dopo alcuni giorni ripresero con più violenza le persecuzioni, la tortura, l’isolamento e persino il tentativo di uccidere il santo vescovo. Eusebio afferma che a causa della ferocia dei suoi carcerieri sono crollati molti fedeli ed alcuni vescovi hanno abbandonato la verità. Allude poi ad altri maltrattamenti. Il Vescovo di Vercelli conclude la sua lettera dicendo che egli non si lascia spaventare dalle azioni degli Ariani e raccomanda ai suoi presbiteri e al popolo la fedeltà alla verità.
Un’altra fonte storica è il testo di Epifanio, vescovo di Salamina. Egli narra di aver visitato la città di Scitopoli e di aver conosciuto Giuseppe, il ricco giudeo cristiano nella cui casa aveva abitato Eusebio durante l’esilio. Godendo di una certa libertà di movimento, forse Eusebio l’aveva utilizzato per avvicinare la gente ed evangelizzarla, scatenando così la reazione dei suoi custodi, guidati da Patrofilo. La scelta dell’imperatore, indovinata nella sua iniquità, si pensa sia stata suggerita dai focosi ariani Valente e Ursacio, convinti che il vescovo di Scitopoli Patrofilo potesse essere il carceriere più adatto. Patrofilo pensava di ridurre Eusebio al totale silenzio. Forse non immaginava che Eusebio sarebbe riuscito a sfuggire comunque alla morsa della prigione per infondere a molti fedeli l’antidoto della vera dottrina. Fu giocoforza trasferirlo in Cappadocia, ma, dal momento che il secondo esilio risultò rischioso agli occhi dei nemici, egli fu tradotto definitivamente nella lontanissima e desertica Tebaide. Nella stessa regione approdò Lucifero. Si ritrovarono nello stesso territorio dell’Alto Egitto i tre grandi difensori del Credo niceno: Eusebio, Lucifero e Atanasio. I tre teologi riuscirono probabilmente a mettersi in comunicazione fra loro per ravvivare in esilio la loro convinzione teologica e il loro zelo apostolico.
La morte improvvisa di Costanzo il 3 novembre del 361 proietta sul trono imperiale suo cugino Giuliano, poi chiamato “l’apostata”. Fu lui a restituire la libertà a tutti gli ecclesiastici esiliati da Costanzo. Era stato “lettore” nella Chiesa, ma, divenuto imperatore, pensò di combattere la Chiesa che Costanzo a suo modo aveva protetto. Agli inizi del 362 diede la libertà a Eusebio e Lucifero, che poterono tornare alla piena attività di evangelizzazione. Eusebio e Lucifero furono raggiunti dall’invito di Atanasio a partecipare ad un concilio convocato ad Alessandria. Lucifero di Cagliari invia al concilio due diaconi suoi delegati e si reca personalmente ad Antiochia per influire sulle vicende di quella Chiesa. Qui Melezio, deposto ed esiliato da Costanzo, dovette affrontare l’ostilità del prete Paolino; Lucifero sostenne Paolino e lo ordinò vescovo contrapponendolo a Melezio e trasformando la controversia in un autentico “scisma”[1].
La “Lettera Sinodale” inviata dai Padri Conciliari alla Chiesa di Antiochia, chiamata Tomus ad Antiochenos, di cui si riporta il testo nell’Appendice, informa sullo svolgimento del “Concilio dei Confessori”.
Il messaggio fu indirizzato anche ai vescovi d’Italia, Egitto, Libia e Arabia presenti al Concilio, tra i quali era Eusebio, unico vescovo d’Occidente. Nel Tomus gli Alessandrini mostravano simpatia per il niceno Paolino di Antiochia. Si aggiungeva la questione della cristologia di Apollinare di Laodicea. La simpatia di Apollinare verso Paolino di Antiochia rappresentò un nuovo punto di disaccordo con gli avversari. Atanasio propose al Concilio una formula cristologica ambigua e sfumata, così da poter essere sottoscritta da tutti. Su questo punto Eusebio prese le distanze dal vescovo di Alessandria, contrapponendo alla debole definizione atanasiana di “corpo di Cristo” la chiara affermazione che “il Figlio di Dio è diventato uomo avendo assunto tutto dell’uomo all’infuori del peccato, quale era stato il nostro vecchio uomo”[2]. Eusebio rivolse agli Antiocheni un invito alla concordia e tornò in Occidente. Dopo sette anni di esilio e rinvigorito nella sua scienza teologica, si sentiva investito di una missione universale per la rinascita della verità cristologica e trinitaria. Per far ritorno in patria, scelse la via terrestre e fluviale per trasmettere alle comunità incontrate lungo il viaggio il verbo niceno. Si ferma soprattutto nella città di Sirmio nella speranza di guadagnare alla sua causa il vescovo Germinio. Di questi fatti ci informa il testo della Altercatio Heracliani laici cum Germinio episcopo Sirmiensi, che contiene il resoconto della disputa di Germinio con Eracliano del 366. Pochi anni dopo, il vescovo di Sirmio si staccò dagli irriducibili ariani Ursacio e Valente e sottoscrisse una formula di fede più vicina al Credo di Nicea. Eusebio tornò alla sua Vercelli con il proposito di potenziare la vita monastica nel clero e nel popolo, coadiuvato dal presbitero greco Limenio e dal siriaco Evagrio. A lui affidò la traduzione in latino della Vita di Antonio. Sulla scia di Eusebio, qualche anno più tardi istituiranno la vita monastica per il clero anche Martino in Gallia e Agostino in Africa. Il vescovo di Vercelli contribuì a fondare le nuove diocesi di Novara, Tortona e Ivrea.
Ci fornisce una conferma dell’azione evangelizzatrice di Eusebio ed Ilario la notizia secondo cui questi erano presenti nell’anno 364 a Milano a combattere l’ariano Aussenzio per riconquistare Milano e per sottrarre l’Italia e l’Occidente all’Arianesimo. I due vescovi andarono nella città per propagandare tra i fedeli la dottrina nicena. All’imperatore domandarono la deposizione di Aussenzio in quanto eretico, e questi replicò all’imperatore che anche Ilario era stato radiato dalla sua diocesi. Ilario è la fonte di questa notizia e possiamo pensare che Aussenzio abbia rivolto una simile accusa anche ad Eusebio. I due teologi furono messi alla porta dall’imperatore Valentiniano, succeduto nella guida dell’impero a Giuliano l’Apostata. Valentiniano, per ragioni prevalentemente di ordine pubblico, dava ragione ad Aussenzio, lasciandolo nella sede di Milano. Aussenzio, infatti, aveva negato di essere ariano giurando di seguire la vera fede.
Nel breve arco di dieci anni, dal 355 al 364, si svolse e si esaurì la parabola dell’attività di Eusebio in difesa della fede nicena contro gli Ariani. Da quanto sappiamo di lui, egli occupa sempre una posizione di rilievo. L’esigua produzione letteraria che di lui ci è rimasta ci impedisce di conoscerlo più a fondo, soprattutto per quanto riguarda la sua interpretazione della fede nicena. Di lui in antico era nota solo la traduzione del Commento ai Salmi di Eusebio di Cesarea; il che fa intendere che egli non ritenne opportuno corredare alla sua azione antiariana un’omologa attività letteraria. Indubbiamente Eusebio fu in grado di ripensare autonomamente e in profondità i dati dottrinali della controversia. La chiarezza della sua professione di fede fu la ragione dell’efficacia della sua azione politica. Il prestigio di cui Eusebio di Vercelli fu circonfuso fin dal suo primo apparire alla ribalta della storia appare pienamente giustificato[3].
NOTE:
[1] Cfr G. F. Diercks, Luciferi Calaritani opera quae supersunt, CCL VIII, Turnholti 1978; per una bibliografia completa cfr A. Piras, Luciferi Calaritani de non conveniendo cum haereticis, Roma 1992.
[2] Sul Concilio di Alessandria si veda Simonetti, La crisi ariana cit., 258 ss.
[3] Cfr. M. Simonetti, Eusebio nella controversia ariana, in Eusebio di Vercelli e il suo tempo cit., 155-179.